Buzzati
Un amore, Dino Buzzati, 1963.
Certo, la storia: Antonio Dorigo, affermato architetto di quarantanove anni, si innamora della Laide, giovanissima prostituta. Lei lo considera un vecchio invadente e geloso, ribelle e insofferente lo sfrutta, lo maltratta e la vita di Dorigo diventa un inferno. Accecato dall’amore soffre le mille bugie della Laide, la mette alle strette, senza riuscirci, la supplica ma lei è più forte, più lo tormenta, più lui le corre dietro.
Alla fine Dorigo si rassegna, apre gli occhi e accetta la realtà. Ma c’è una svolta, nell’ultima pagina riesce a ottenere ciò che desiderava da tempo: la Laide al suo fianco. Il finale felice, quindi, ma è davvero felice? Non so: fino a quel momento lui aveva vissuto (certo, agonizzante, mangiato vivo dalla gelosia ma vivo), mentre la resa della Laide sembra porre fine a quella storia travolgente che stava vivendo.
Leggo: “l’amore per la Laide è stata un’illusione, che però ha riempito la sua vita, fino a quel momento dominata dalla paura della morte”. Ottenuto ciò che desiderava l’illusione svanisce. A Dorigo torna infatti la paura: “Nella notte si guarda intorno. Dio Dio che cos’è quella torre grande e nera che sovrasta?”.
Ma più della storia c’è la scrittura. Buzzati massacra tutto, periodi, punteggiatura, un ritmo infernale toglie il respiro; un turbinio di pensieri, sospetti, gioie, malesseri, angosce (più spesso) ti tiene attaccato alle pagine. Scrittura affascinante, inarrivabile, impossibile.
A volte usa la punteggiatura acrobatica, inventando nuovi periodi (anche di una parola, punto, a capo); altre si perde in un flusso di coscienza, curioso il caso del paragrafo che metto qua sotto, inizia con qualche virgola poi se le scorda.
Mi sono scontrato con i “nuovi” editor, freschi di manuali, quelli delle regolette elementari, soggetto, predicato, virgola, punto, a capo, tutto in ordine, tutto corretto, pettinato, mortalmente noioso. Vaglielo a spiegare. Me li immagino (poveretti) alle prese con un paragrafo così, l’avrebbero massacrato:
Ma lui Antonio non è uno di quegli uomini che quando la sorte li ha pestati tengono tutto dentro e a vederli non si direbbe neanche. Dopo l’addio c’è stato naturalmente una nuova crisi di furore, d’ira, di forza, un amico un giorno gli aveva detto vedrai che all’atto pratico è molto meno peggio di quello che si crede anch’io le volevo un bene da matti a quella donna che sai e ci perdevo i giorni e le notti e più le stavo dietro come un cagnolino e le baciavo i piedi, più lei me ne faceva di tutti i colori e io diventavo pazzo, così gli aveva raccontato l’amico ma assolutamente non ero capace di staccarmene senonché un giorno mi sono detto o oggi o mai più mica che lei me ne avesse fatta una peggio delle solite anzi quel giorno era così gentile ma io mi sono detto dài amico perché altrimenti ci rimetti gli annessi e connessi e allora di punto in bianco ho detto basta e quando lei ha telefonato ho detto basta senza tante storie e lei naturalmente ha insistito per parecchi giorni, ha fatto anche due tre scene di lacrime ma io avevo detto basta e appena mi ero deciso di rompere pensavo che sarei diventato scemo o matto e invece d’incanto nell’attimo stesso che avevo deciso di rompere però intendiamoci avevo deciso sul serio mica una mezza idea tanto per dire, in quell’attimo stesso mi sono sentito un altro e si capisce che avevo un dispiacere ma un dispiacere sopportabile esattamente come quando ci si fa cavare un dente che faceva un male d’inferno, vedi non sono parole a vanvera parlo per esperienza personale dammi retta Dorigo fa anche tu lo stesso e dopo ti metterai addirittura a ridere pensando quanto veleno hai mandato giù per niente, così gli aveva raccontato l’amico.