RomaOstia Half Marathon
I Brooks sono riusciti a trasformare la RomaOstia Half Marathon in una splendida giornata tra amici
Partiamo dall’inizio: il viaggio. Una volta il treno era il mezzo dei poveri, oggi Milano Roma e ritorno ti costa duecento euro (quattrocentomilalire). Strano, perché Italo, per esempio, dice che puoi viaggiare spendendo 9 euro e 90. Ma credo che sia il prezzo da Milano Centrale a Milano Rogoredo, ci vado a piedi, faccio prima.
Allora guardo i regionali, in effetti tra andata e ritorno risparmi più di cento euro, ma ti toccano due cambi, l’odissea delle coincidenze, il viaggio con il volgo ma, sopra tutto, un pellegrinaggio di dieci ore e rotti, quasi undici, solo andata. Invecchi sul treno.
Sicché prendo l’Italo. Arrivo bello bello a Roma e poi c’è la metropolitana per l’hotel, zona Eur. Dalla metro all’hotel sono due chilometri, una ventina di minuti. Evabbe’ due passi dopo il treno ci stanno. Anche perché qua è estate, sono arrivato vestito da milanese, col cappotto — tipo Totò Peppino e la malafemmina, mi mancava solo il colbacco — e adesso mi tocca stare con le maniche corte.
È l’una, chiedo al mio amico Piper dove mangiare, qui intorno ci sono posti dove ti danno un primo a tre euro e cinquanta, un secondo quattro euro, roba che arriva dal mercatone della convenienza scaduta, preferisco una gricia della trattoria.
Mi dice, il Piper: “Vai con la metro alla Garbatella, poi da lì una ventina di minuti a piedi e arrivi in piazza dei Navigatori dove c’è la Trattoria dell’Ardito. Così digerisci pure”.
Ok, Piper, vado, anche se la digestione c’è dopo il pranzo, no prima. Tra andata e ritorno fanno quaranta minuti.
Due passi per la Garbatella e mi innamoro di questo quartiere. Mi incantano, in particolare, i grandi condomini, le case popolari — poi scopro che si chiamano lotti e ci sono anche gli ex alberghi suburbani — che hanno conservato tutto il loro antico fascino.
E mi riportano a quell’Italia che mi piace, povera, dignitosa, grandi lavoratori e grandi sacrifici, semplice, vera, che non ti nega un aiuto (leggete la storia delle Sgarbatelle) che oggi mi pare così lontana da quest’accozzaglia del miserabile “prima io”. Ci sono scorci straordinari, che mi fanno tornare indietro di cinquant’anni; in realtà di anni dalla nascita di questo incredibile quartiere ne sono passati quasi cento, luogo ricco di storie e leggende, raccontate anche da Pasolini.
Scoprirò, poi, che La Garbatella nasce come borgo marinaro. Un porto? Già, solo che il mare sta a più di venti chilometri da qui, quindi che si fa? Si scava un canale navigabile che prima parte parallelo al Tevere e poi verso il mare, quando il fiume fa la biscia, tira dritto e raggiunge Ostia dopo una svolta ad angolo. Una storia che sembra un romanzo di fantascienza, eppure.
Arrivo alla Trattoria dell’Ardito e tiro dritto, secondo me è chiusa. Cioè, da alloctono, e pure biondo, vedendo la porta serrata e i vetri opachi immagino sia il giorno di riposo (invece è il lunedì), e non m’azzardo a tirare la maniglia. Provare, mai sia. Fortuna vuole che in quell’istante di sconforto, un avventore autoctono (o semplicemente più sveglio dello scrivente) apra la suddetta porta ed entri. Lo seguo.
Il resto è tutto documentato nel video: l’imbarazzo della scelta tra rigatoni o bucatini all’amatriciana, alla carbonara, alla vaccinara. Con pajata, all’arrabbiata, alla gricia, spaghetti cacio e pepe a altro altro ancora ancora. Poi i secondi, coda alla vaccinara, coratella d’abbacchio, trippa alla romana, abbacchio scottadito. Salti in bocca di vitella alla romana, e altro altro ancora ancora, poi i contorni e i dolci. Il caffè, l’amaro della casa.
Insomma, per mangiare tutto quello che andrebbe misericordiosamente mangiato occorrerebbe stare qui un mese, ma ho solo questo pranzo a disposizione e la capacità di mangiare un solo piatto: un primo o un secondo (ricordatevi che sono biondo). E della verdura, che fa bene. Mi affido al gentilissimo cameriere che propone: rigatoni all’amatriciana, “che je riesce”, mi dice facendo l’occhiolino. Anfatti me riescono alla grande, sono ottimi. Sono sazio, appagato, contento, compiaciuto, gratificato e soddisfatto (dal dizionario dei sinonimi Treccani).
Torno dalla trattoria alla metro (venti minuti a piedi), e dalla metro in hotel (venti minuti a piedi) e mi preparo per l’incontro con i Brooks che sono al Salone delle fontane (venti minuti a piedi dall’hotel). Qui prendo il pettorale, e l’attrezzatura tecnica per correre — sarebbe gli occhiali a specchio e la parrucca blu — e plaudo i recordman e le recordwoman delle edizioni precedenti, quelli che corrono i 20 e rotti chilometri in un’oretta, quelli che sono a Ostia quando io ansimo al ristoro di metà strada e cerco di ricordare come mi chiamo e sopra tutto perché mi trovo sulla Colombo in braghette e parrucca blu insieme ad altri cinquanta scalmanati cantando Ohohohoh-ohohoh-oh thunder! agitando il pugno.
Poi si va tutti in pizzeria (dieci minuti a piedi dal Salone delle fontane), e infine in hotel a riposare (venti minuti a piedi dalla pizzeria): domani si corre.
Già, domani si corre, il Garmin mi dice che a botte di venti minuti alla volta oggi ho fatto 26.963 passi, per un totale di 22,8 chilometri: in sostanza ho già fatto la Roma-Ostia. E domani? Domani uguale. Ma di corsa. Mi fanno già male le gambe, stanotte speriamo di recuperare.
Il via alla mezza maratona è alle 9,30, orario decente, noi dalle parrucche blu abbiamo l’appuntamento alle sette nella hall, niente orario decente. Ma sono contento, siamo in ottima compagnia, si va tutti alla partenza, in anticipo per radunare il maxi-gruppo Brooks. C’è una bellissima atmosfera, siamo qui per correre senza stress, tempo previsto per arrivare al mare — ventuno chilometri e novantasette metri, ricordo — due ore e dieci, un passo discreto ma alla portata di tutti. Idea perfetta. Se infatti mi fossi allenatissimo tutto l’anno e in corsa avessi sputato l’anima sarei arrivato dopo due ore e nove minuti. Che è sempre il doppio di quelli veri: perché quindi morire d’un colpo?
I Brooks mantengono la parola: Run Happy. Il gruppo è divertentissimo e poi abbiamo sei runner ufficiali che corrono con le casse sulla schiena e la musica a manetta; Tobias ha pure il megafono. Già, loro corrono con la discoteca sulle spalle e il megafono in mano.
Abbiamo anche una griglia riservata a noi parruccati blu, e tra la compagnia, la musica, il travestimento e il resto partiamo tutti belli felici correndo i primi novantasette metri a mio avviso un po’ troppo baldanzosi, visto a Ostia è ancora a una ventunina di chilometri. Poi però prendiamo il giusto ritmo e via tutti insieme che è un piacere, sempre in allegria, infondendo buonumore a tutti, sia chi corre con noi, sia chi ci osserva di là dalle transenne.
Ecco alcune memorabili canzoni che cantiamo insieme: Bla Bla Bla alla partenza sprint, poi The final countdown, dopo un po’ Thunderstruck (e tutti che facciamo ohohohoh-ohohoh-oh thunder! agitando il pugno), poi Sunday bloody sunday, Smoke on the water, per finire in bellezza con We are the champions, e tutti con le braccia alzate verso l’arrivo.
Sunday bloody sunday mi fa venire i brividi — e anche inumidire gli occhi — non solo perché è una canzone bellissima, ma anche perché mi ricorda che negli anni ottanta c’erano ancora i dischi e sapevamo cos’erano le casse, perché ero ancora lontano dal mio traumatico trentesimo compleanno. Anche se non è una canzone adatta a una festa.
Noto, sgomento, che le canzoni che dovrei abborrire, tipo la suddetta Bla Bla Bla, oppure Sarà perché ti amo, o quella che fa com’è bello far l’amore da Firenze in giù e peggio ancora (Al Bano e Romina, toh), sono proprio quelle che ci fanno divertire di più, e tutti le cantiamo felici, meglio ancora degli AC/DC, U2, Queen e via andare. Sono un italiano medio, che delusione però.
Tra una canzone e l’altra arriviamo al traguardo in gruppo, felici e stanchi ma non sentiamo la fatica, la compagnia e l’allegria ci hanno fatto dimenticare i dolorini vari, ma sopra tutto ci hanno fatto passare una mattinata speciale: i Brooks sono riusciti a trasformare la RomaOstia Half Marathon in una splendida giornata tra amici.
Lunedì. Mi dolgono i seguenti muscoli: tibiale anteriore, estensore lungo dell’alluce, estensore lungo delle dita, peroniero terzo, tricipite della sura, plantare, popliteo, flessore lungo dell’alluce, tibiale posteriore, flessore lungo delle dita, peroniero lungo, peroniero breve. In settimana riprenderò il controllo degli arti inferiori.