Roccaraso Trail 2017
In questi posti, siamo in Abruzzo, c’è un problema. La gente è troppo ospitale. È un problema perché se sei qua per il Roccaraso Trail, un’arrampicata di millemila metri di dislivello Sulle piste degli antichi skiatori in una sgambata di venti chilometri, non è che il coach ti dice: “Mirko, la sera prima della gara abbottati di arrosticini”. E ci mettiamo pure la scamorza affumicata e la minestra degli Alpini, quella che con un piatto ti fai i parchi nazionali d’Abruzzo, Lazio, Molise e Majella in maniche corte e senza rifornimenti.
Amo i miei amici
Abbottarsi vuol dire mangiare con avidità e ingordigia, dice il Treccani, portale del sapere. A questo però è da aggiungere pure il bere, la birra e l’ottimo vino locale. Verso le nove e trenta eravamo quindi molto lontani da provare quel “mal de vivre” che distingue i normali umani, dovevamo solo digerire. Sicché alcuni atleti del nostro gruppo si sono esibiti in balli estremi interpretando le pimpanti musiche dei Village People, degli Imagination, di Bob Marley, ma anche di Snap!, Pitbull, nonché quelle trapananti canzoncine latine che fanno “despacito-despacito” e “ceccereccceccereccé”.
Siamo i più forti
Mi rammarico, in parte, che il mio blasone non mi abbia concesso di partecipare a queste espressioni tribali, ma devo dire che sono davvero orgoglioso dei miei amici, poiché alle undici di sera il nostro era l’unico tavolo ancora vibrante di vita, mentre tutti gli altri atleti erano a letto da tempo, cullando, illusi, l’illusione di arrivare competitivi alla sfida dell’indomani.
Venti chilometrini
Qua tra un po’ si scia, siamo a fine ottobre, si sale pure in quota. Come mi vesto? Con troppa roba si suda, con poca si prende un colpo, portarsi dietro l’abbigliamento è noioso. Mi vesto a cipolla, così non imbottisco lo zaino. Sono intelligente, ho studiato. Poi alla partenza fa caldo, si suda da fermi, immagina quando ci si arrampicherà sulle piste degli antichi skiatori.
Inizio a scipollarmi, quindi a imbottire lo zaino. Potrei invece organizzare una bancarella. Lo zaino pesa ma non capisco perché, mi porto dietro il minimo per questo trail: borracce, gel, barrette, sali, vitamine, omega tre, banane, crema solare, siero antivipera, antitetanica, Bimixin, Plasil, Voltaren, termometro, telefono, batteria, GoPro, spazzolino, dentifricio, collutorio, rasoio, crema da barba e idratante, tonico, Vicks Vaporub, burrocacao, pettine, spazzola, gel per i capelli (per la foto), telo termico, mutande di ricambio, aspirina, maschera per gli occhi, bandierina italiana, buono pasta party. Il Greg dice che è tutto peso inutile che mi porto dietro e che per fare questi venti chilometrini il kit per sopravvivere due anni nel deserto di Atacama non serve. Lui fa presto a dire venti chilometrini, li fa la mattina per scaldarsi; io li ho fatti due volte in vita mia, di cui una in bici, in discesa.
Il primo muro
Partiamo alle dieci, orario umano, e dopo cento metri siamo ancora tutti belli felici. Come al solito, in tutte le mie attività sportive, parto ma non so se arrivo, né come. So che ho dodici chilometri di autonomia, certificati questa estate sul San Bartolo, di cui gli ultimi due in discesa; nei restanti otto mi affiderò alla Provvidenza.
Dopo duecento metri ancora tutto bene, poi però il serpentone punta verso un preoccupante muro ritagliato sul fianco della montagna: “Non è che dobbiamo salire lì, vero?”, Sì, saliamo proprio lì, ma è solo un chilometrino, poi c’è la discesa. Parte così il Roccaraso Trail: un muro da scalare. Così ripido che non credo qualcuno abbia corso in questo tratto, anche se vedo che i primi, velocissimi, sono già allo scollino, mentre io, come d’abitudine, sono in fondo a controllare che tutti stiano bene.
Dopo è tutta discesa
Il Roccaraso Trail è bello perché c’è davvero una salita e dopo è tutta discesa, non è la solita battuta. Di salite in realtà ce ne sono tre, pure lunghe, ma sono all’inizio, nei primi 8 chilometri, dopo ci sono dei tratti più o meno difficili ma si sfanga. È anche per questo che ora potete leggere queste mie note.
Di bello c’è che queste salite sono così in salita che il dubbio tra il vigoroso correre saltellante e l’arrancare col fiatone non si paventa nemmeno, passo direttamente alla tecnica numero due. Non male nemmeno le discese, sempre molto ripide, sempre da fare lentamente, per uno normale. Se c’è grip devi frenare sennò arrivi in paese rotolando al primo inciampo; se non c’è grip, a causa del fastidiosissimo ghiaino, devi frenare lo stesso sennò arrivi comunque in paese rotolando.
Che Vento!
A otto chilometri c’è il controllo orario, al quale purtroppo arrivo prima della chiusura del percorso e quindi mi tocca continuare. Siamo a 1860 metri e il vento porta via la tenda del ristoro. Non è male questo frescolino, poiché arriviamo qui belli sudati e non so cosa fare, se coprirmi o meno. Tanto con quest’aria ghiacciata che tira è inutile mettersi addosso una maglia, ci vorrebbe almeno il Moncler. Di bello c’è però che da adesso in poi è una passeggiata, più o meno, e se lo dico io potete fidarvi.
Oltre ad essere morbida, con pianure, dolci discese, leggere e brevi salite, la seconda parte del percorso si snoda in un paesaggio spettacolare nel cuore del parco della Maiella, con un finale fantastico tracciato in mezzo al bosco dove corri su un morbido tappeto di foglie rosse.
Mi aspettavano per mangiare
Arrivo a Roccaraso e trovo i miei amici in relax: hanno fatto la doccia, si sono cambiati, pettinati, hanno fatto il sonnellino. Ma sono contento perché è ancora giorno, non hanno tolto i gonfiabili, è rimasta pure la birra e tutti sono felici di vedermi. Anche perché mi aspettavano per mangiare. Comunque noi ultimi siamo più simpatici, c’è poco da fare.
Fregato sul finale
Tutto bene quindi? Quasi. Devo purtroppo raccontarvi un episodio disdicevole che mi è capitato proprio all’arrivo. Stavo per salire sulla passerella gialla del trionfo quando un signore mi passa davanti proprio gli ultimi due metri, e supera il traguardo esultante con le braccia aperte, manco avesse vinto le olimpiadi. Ora, amico mio, se sei arrivato insieme a me, e non hai fatto il lungo, che non c’è, c’è poco da esultare e scannarsi per superarmi.